Martedì 4 marzo 2025 si è tenuto il secondo incontro di formazione istituzionale della Fondazione Maddalena Grassi. Nell’intervento conclusivo il Presidente Alessandro Pirola ha restituito il senso profondo dell’incontro e rilanciato la sfida di una cura umana.
“L’esercizio di oggi è guardare il particolare della nostra azione dall’unico punto di vista in cui può reggere, cioè dal punto di vista del tuo cuore, della tua unità di te con te stesso, di tutte le tue esigenze, di tutto ciò di cui tu sei fatto”
Di seguito l’intervento completo:
Alessandro Pirola. Mi sembra che il pomeriggio abbia documentato la centralità e l’utilità dei temi trattati per la vita ordinaria delle nostre fondazioni e di chi vi opera quotidianamente. Dov’è il punto da non perdere? Qual è la ragione per cui mettiamo in piedi momenti come questi?
I relatori hanno riferito una serie di esperienze professionali e di modi in cui viverle che hanno portato beneficio a se, ai colleghi, ai pazienti e alle loro famiglie. L’utilità ora attesa è che ciascuno colga, dall’eccezionalità delle esperienze ascoltate, che cosa è vero nell’ordinario della propria vita e del proprio lavoro, magari vissuto in un’assistenza cronico-degenerativa lunga mesi o anni.
La malattia psichiatrica, per esempio, è una malattia spettacolare quanto le malattie acute citate, perché ha esattamente tutto il vissuto riferito, reiterato cento volte al giorno, per lungo tempo. È come se i pazienti ti sfidassero e ti chiedessero continuamente se è proprio vero. Ugualmente la cura di persone in stato vegetativo suscita domande analoghe.
Noi dobbiamo portare via da qui quello che abbiamo visto essere vero per i relatori e verificarlo nella nostra circostanza. Non siamo venuti solo ad ascoltare delle belle testimonianze, siamo venuti a fare formazione di cui in qualche modo dobbiamo dare conto: mettete questi argomenti a tema delle vostre equipe di lavoro.
Gli enti che hanno organizzato questo incontro hanno nel proprio carisma costitutivo il soffermarsi per rielaborare quanto vissuto. Per curare il malato grave, cronico o acuto che sia, ci vuole una posizione umana matura, compiuta, piena: ci vogliono delle grandi persone per avere grandi professionisti. Per essere professionisti e costruire un’opera come quelle in cui ci capita di lavorare occorre non censurare nulla di ciò che suscitano le persone che trattiamo, spesso con patologie davanti alle quali è doloroso stare.
L’esercizio di oggi è guardare il particolare della nostra azione dall’unico punto di vista in cui può reggere, cioè dal punto di vista del tuo cuore, della tua unità di te con te stesso, di tutte le tue esigenze, di tutto ciò di cui tu sei fatto. Ivi compreso la morte e la malattia. Anche perché se passi una vita censurandole, prima o poi arrivano. E se ti arrivano che non ne hai mai parlato e non le hai mai vissute, è peggio. Quando arriva la malattia o quando arriva la morte e tu la affronti dentro una compagnia come questa, capace di guardarla, accadono degli spettacoli di vita: noi abbiamo la fortuna di avere un sacco di esempi, di additarli e di volerli sentire parlare.
Franco. Eh sì, in effetti è così, molte cose sono diverse da come si vivono normalmente e te ne accorgi quando sei in una condizione di fragilità, come la mia per esempio. Me ne sono reso conto quando ho avuto un’emorragia cerebrale ad aprile dell’anno scorso a Rimini; mi sono accorto che le persone che mi sono state vicine per me sono state un elemento essenziale per continuare a vivere. Perché in questi momenti è proprio una salita enorme da fare che da solo non ce la fai. E mia moglie che è qua lo sa bene, mi sopporta e mi cura.
La moglie Flavia. Quando parlavate mi è venuto in mente tantissimo il periodo che abbiamo vissuto all’inizio quando Franco è stato male. Lui è stato operato a Cesena dove poi è stato a lungo in terapia intensiva. E io lì ho incontrato delle persone meravigliose, dei medici veramente meravigliosi, che guardavano mio marito in tutto, lo chiamavano per nome; hanno voluto sapere, pur essendo lui in coma, un sacco di cose di lui.
Ciò mi ha colpito tanto e ha permesso anche a me di essere comunque più serena; non sono mai stata disperata in questa situazione anche se piena di dolore. E così facendo in quel periodo hanno aiutato sicuramente anche i miei figli e agli amici che erano lì con noi. Mi sono riconosciuta tantissimo nelle cose che avete detto.
Franco. Ricordo un ultima cosa: appena sono uscito dall’ospedale parlando con qualche amico mi diceva “eh Franco, a volte la vita è proprio una merda: Tu, che sei quasi arrivato alla fine carriera lavorativa, adesso ti ritrovi questa situazione.”
E io gli ho detto “no, guarda, per me non è così. Perché io ho scoperto un sacco di amici. Pensa che quando sono stato male avevo a un metro un infermiere che mi ha soccorso subito e poi avevo l’ambulanza a due metri: mi hanno caricato su e mi hanno portato all’ospedale. E poi ho tanti amici che mi vogliono bene, insomma, per me la vita non è una merda.”
Alessandro Pirola. Grazie a tutti e buon lavoro.